Marina Abramović - Moma 2010
- The artist is present
- 5 feb 2017
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Marina Abramović, montenegrina di nascita, si presenta al pubblico come un' artista estremamente stravagante e densa di significato. Nelle sue numerose performance ha voluto mettere in evidenza il risultato derivante dall' interazione tra pubblico ed artista ma, soprattutto, ha scelto di indagare i limiti fisici del corpo e la contrastante sconfinatezza che può permeare la mente di ognuno di noi.
Nelle sue esposizioni ha voluto denunciare gli orrori legati alla Guerra nei Balcani (vedi Balkan Baroque) nonché sua terra d' origine, ha mostrato una forte ed impassibile personalità nell' affrontare duramente il tema del dolore vissuto fisicamente, basti pensare a Rhytm 10, 0, 5. In ognuno di questi casi, proprio come sua volontà, gli spettatori non sono rimasti inerti, anzi, hanno interagito con la donna attuando comportamenti eterogenei.
Ma l' Abramović si è lasciata andare anche in esibizioni per così dire più "soft", pur sempre improntate su di una vena vivamente esistenzialista, esattamente come quella che vi ripropongo oggi. Un' esibizione emozionante tenutasi al museo MoMa di New York nel 2010 dalla quale ho voluto, in particolar modo, prendere un episodio che ha destato molto scalpore e che mi ha colpita profondamente, data la mia vena dannatamente romantica. Ne avrete sentito parlare in molti, e per molto tempo. Momenti di sospensione vissuti in assenza di parole, momenti in cui l' artista, glaciale ed immobile, ha voluto confrontarsi col suo pubblico su di una semplice sedia lasciandosi guidare unicamente dal linguaggio del corpo. Vortici di sguardi hanno svelano emozioni di ogni genere: estraniazione, sorpresa, commozione per lo più. E' tra un' emozione e l' altra provata dagli spettatori che probabilmente l' artista ha vissuto quella più intensa: l' incontro con lo storico amore Ulay, compagno di vita e compagno d' arte, col quale scelsero di chiudere la loro storia incontrandosi sulla muraglia cinese, senza più voltarsi indietro. Si aggiusta la giacca, le si siede dinanzi, come fosse un vero e proprio appuntamento. Alla vista dell' uomo, Marina Abramović mette finalmente a nudo il suo animo. Lo sguardo si fa docile di colpo, la commozione non si arresta e tra le lacrime spunta un sorriso caldo e pieno di ricordi, ricordi che, come foglie innalzate dal vento, ricadono dolcemente dinanzi ai loro corpi, ora più maturi.
Quale consapevolezza? Quale certezza?
L' Amore rende immensamente fragili, si sa. Riesce ad offuscare rabbia, rancori, ci spienge oltre le nostre volontà. E' irrazionalità razionale, è questo che ci spaventa a morte ma che, al contempo, ci rende vivi.
A questo momento tanto intimo accosterei una "Autumn Day" di Olafur Arnalds. Le note dipingono alla perfezione una giornata di pieno Ottobre, malinconica e dai toni caldi, esattamente come la storia dei nostri due artisti.
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